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Recensioni

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Il libro non si presenta come un saggio ma come un racconto di alcuni fatti storici letti in chiave contemporanea. Ricordiamo che ogni epoca è figlia del suo tempo, ma senza dubbio è influenzata dal padre, il passato.

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Nonostante la mia oramai remota laurea in Filosofia, per anni mi sono rifiutato di leggere la Filosofia contemporanea: la sensazione che in quest’epoca i pensatori si fossero troppo allontanati dalla realtà, che si rifiutassero di occuparsi dei problemi che ci affliggono, che prediligessero un atteggiamento distaccato e da turris eburnea, caratterizzato dal pensiero che finisce per avvolgersi su sé stesso, senza essere realmente utile alla società e agli altri, ermetico e incomprensibile, mi rendeva impossibile continuare a perseguire quella che è sempre stata la mia grande passione.

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I due anni di restrizioni che abbiamo appena trascorso, qualcosa cui nessuno di noi era preparato e che forse mai ci saremmo aspettati di dover vivere hanno lasciato solchi profondi, praticamente a chiunque: in molti hanno perso qualcuno cui volevano bene, un grande numero di persone ha dovuto reinventarsi un lavoro o ha attraversato momenti professionalmente stressanti, sicuramente tutti abbiamo toccato da vicino la solitudine.

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Un sorriso. Un paesaggio. Un corpo armonioso. Un tramonto. Un bacio. Una vecchia cartolina. Un dettaglio architettonico. Una scultura perfetta. Un quadro dai colori avvolgenti. Un fotogramma avvincente.

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In qualsiasi modo la si pensi, in qualsiasi stato d’animo navighiamo nell’affrontare una problematica così complessa e atavica, in qualsiasi condizione della vita sostiamo per immergerci in altri percorsi interiori e umani, che poi diventano culturali, ci sono tappe nella considerazione del “genere” che bisogna inevitabilmente fare.

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In un mondo in cui le relazioni diventano sempre più diafane e l’esperienza virtuale assume ogni giorno che passa una rilevanza trascendentale, la condivisione di gioie, dolori, vicissitudini negative o positive, di giornate piene od oziose sul divano è diventata la normale quotidianità della maggior parte della popolazione: dai primi anni dell’adolescenza fino alla terza età inoltrata.

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La condivisione estrema è pericolosa. A lungo andare può anche far male. Molto male. Una metafora dell’eccesso di condivisione può essere letta nel recente film Indivisibili di Edoardo De Angelis, uscito nel 2016. Due gemelle siamesi, unite dalla nascita, sono schiavizzate dall’ambiente familiare e culturale e utilizzate come fenomeni da baraccone, in qualità di cantanti neomelodiche, perché questo sarebbe l’unico modo per sopravvivere in una società in cui i “normali”, i sani, hanno molta difficoltà a sbarcare il lunario.

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IL FILM — Questa è la storia di un uomo che cade da un palazzo di cinquanta piani. Mano a mano che cadendo passa da un piano all’altro, il tizio per farsi coraggio si ripete: fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene. Il problema non è la caduta, ma l’atterraggio.

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“Commedia” si fa risalire comunemente a due etimologie: una, legata alla ritualità bacchica, si congiunge a kòmos, ossia brigata o processione di giovani che, più precisamente, si pensa accompagnasse il dio del vino e dell’ebbrezza; l’altra, più generalmente legata alla comunità dei villani antichi, si ricollega a kòme e odé, cioè canto del villaggio.

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Non c’è niente di meglio delle commedie di Eduardo per rappresentare la famiglia. Da Natale in casa Cupiello a Le voci di dentro, le relazioni, le alleanze, gli intrecci familiari vengono svelati, messi in evidenza con ineguagliabile bellezza, tanto che intere frasi, lunghi pezzi di dialogo sono diventati, lo sappiamo, patrimonio comune non solo in ambienti partenopei.

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Tempi di lavoro e tempi di vita, tempi obbligati e tempo libero, tempo necessitato e tempo di ozio. Non si può fare a meno di considerare il lavoro senza pensare al tempo, alla nostra stessa vita e al significato che assume nello svolgersi del lavoro.

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Non è frequente imbattersi in un libretto agile, documentato e ben scritto come Sud, l’Italia che non c’è di Raffaele Cimmino e Tonino Scala. Senza appesantire un tema che è oggetto di una vasta pubblicistica, i due autori rivendicano in primo luogo la necessità di riflettere ancora sul Sud.

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Ogni cosa è illuminata è un film del regista, attore e sceneggiatore americano Liev Schrieber, tratto dall’omonimo, bellissimo, romanzo dello scrittore americano Jonathan Safran Foer che narra il viaggio in Ucraina di un giovane studente americano, che porta il nome dello scrittore, alla ricerca della donna, che oltre mezzo secolo prima aveva salvato il nonno nascondendolo ai nazisti.