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Scuola

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Se nell’immaginario di noi, nati negli anni sessanta, il colore viola, mescolanza di blu e rosso, fa riferimento all’omonimo libro di Alice Walker e al più famoso film di Steven Spielberg, richiamando alla mente le tematiche del razzismo e della violenza ma anche dell’inclusione attraverso l’amore, non sono molti, invece, i colori che le mie esperienze scolastiche rievocano.

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Provare a inserirsi in una discussione a più voci sul concetto di partecipazione e sulle pratiche che ne discendono implica in prima istanza una sorta di autovalutazione che induce ognuno a chiedersi qual è il valore aggiunto che si può portare alla discussione sul tema.

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Nella scuola, intesa come istituzione culturale deputata all’istruzione, in forma collettiva, dei giovani o alla formazione di individui in uno specifico settore disciplinare o professionale, sembrano essere determinanti due aspetti: il valore culturale, strettamente collegato alle sue finalità e la dimensione collettiva.

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Se la parola esprime il suono dei pensieri, la scrittura ne conserva la memoria nel tempo: nasce con questa finalità la collaborazione di questi giovani scrittori del liceo Mons. B. Mangino di Pagani, coordinati dalla professoressa Maria Luisa Luciano, che hanno affrontato con grande entusiasmo questa nuova esperienza attraverso un condiviso, quanto efficace gruppo di lavoro.

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Nelle aule scolastiche, l’osservazione dei comportamenti dei diversi attori della comunità educante consente di individuare varie storie di “resistenza”, tracciando così una forbice di significati abbastanza ampia, che spazia dalla resilienza davanti alle difficoltà e ai disagi legati alla quotidiana gestione di edifici e spazi inadeguati alla missione della scuola, a una strenua azione di contrasto alla dispersione, all’ignoranza, all’esclusione sociale.

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Il Consultorio Transgenere di Torre del Lago Puccini (LU) nasce nel 2008 come progetto pilota della Regione Toscana, in sinergia con associazioni per i diritti e la tutela della salute delle persone transgender.

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Un po’ di tempo fa ho partecipato — presso l’Università in cui lavoro — a una tavola rotonda in cui parlavamo di active learning, quel vasto campo di tecniche e strumenti teorici e pratici che mirano a mettere al centro lo studente, coinvolgendolo in misura maggiore e più attivamente nel processo di insegnamento-apprendimento.

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Madreterra. Anzi, Madre Terra. Cioè la Terra – il nostro meraviglioso pianeta – come madre. Che accoglie, che nutre, che trasforma. Una madre paziente, ma che sa anche arrabbiarsi, una madre che cura, ma che di cure ha bisogno. Una madre generosa, ma che pretende rispetto.

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Se mi chiedessero chi sono i supereroi contemporanei, non esiterei neppure un secondo a rispondere: «gli insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado, che in Italia (ma in realtà nel mondo!) sovrintendono a un ruolo che ha davvero del sovrumano, ovvero provare a formare, possibilmente appassionandole, le nuove generazioni».

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Il rapporto tra genitori e figli segue l’andamento dell’evoluzione della società. Anche il gioco, in tutte le sue forme, è una buona rappresentazione della condizione culturale dei popoli, dei loro mutamenti sociali e della loro capacità di emanciparsi rispetto agli standard di sviluppo.

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Nel momento in cui mi è stato chiesto di scrivere quest’articolo, ho iniziato a pensare a cosa questa parola mi rimanda, sia dal punto di vista personale che dal punto di vista professionale. Cosa significa abitare per me in quanto uomo e in quanto educatore professionale?

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L’ambiente di apprendimento nelle Indicazioni Nazionali per il Curricolo della Scuola di Primo Ciclo è definito è inteso come luogo fisico o virtuale, ma anche come spazio mentale e culturale, organizzativo ed emotivo/affettivo insieme. Il termine ambiente, dal latino ambire, andare intorno, circondare, potrebbe dare l’idea degli elementi che delimitano i contorni dello spazio in cui ha luogo l’apprendimento.

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Ero in giuria al festival del cinema per bambini e ragazzi di Susa, in Tunisia, lo scorso marzo, e una cosa che faceva subito pensare, in quelle produzioni non puramente commerciali, erano le atmosfere spesso cupe e la presenza incombente della morte.

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Le mani di Erika scorrono leggere e veloci tra le righe. È seduta a indiano sul suo letto con il grande libro aperto sulle gambe e la testa sollevata, come in ascolto, in ascolto delle parole che, appena accennate dal movimento delle sue labbra, emergono dalle pagine e diventano emozione sul suo viso.

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Il ricordo delle storie ascoltate durante l’infanzia, che narrano prodigiosi accadimenti di luoghi indefiniti e senza tempo, ci accompagna per tutta la vita; ciò nonostante, le fiabe, etichettate semplicisticamente come letteratura per bambini, sono sbrigativamente liquidate come innocente narrativa di second’ordine.

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Come è noto, per uno studente di musica non vedente è difficile, se non impossibile, avere una comprensione immediata di una partitura, che per poter essere suonata, deve essere prima di tutto letta a frammenti e memorizzata.