Skip to content

|

Le lacrime di Nietzsche

1 Settembre 2022
I due anni di restrizioni che abbiamo appena trascorso, qualcosa cui nessuno di noi era preparato e che forse mai ci saremmo aspettati di dover vivere hanno lasciato solchi profondi, praticamente a chiunque: in molti hanno perso qualcuno cui volevano bene, un grande numero di persone ha dovuto reinventarsi un lavoro o ha attraversato momenti professionalmente stressanti, sicuramente tutti abbiamo toccato da vicino la solitudine.

|

Le lacrime di Nietzsche

1 Settembre 2022
I due anni di restrizioni che abbiamo appena trascorso, qualcosa cui nessuno di noi era preparato e che forse mai ci saremmo aspettati di dover vivere hanno lasciato solchi profondi, praticamente a chiunque: in molti hanno perso qualcuno cui volevano bene, un grande numero di persone ha dovuto reinventarsi un lavoro o ha attraversato momenti professionalmente stressanti, sicuramente tutti abbiamo toccato da vicino la solitudine.

L’isolamento forzato dei periodi di lockdown, infatti, ci ha giocoforza tenuti lontani da persone cui saremmo voluti stare vicini e ci ha fatto sentire soli: anche chi si è ritrovato chiuso in casa con una famiglia numerosa ha scoperto la difficoltà di dovere rinunciare alle compagnie che si scelgono, in favore di quelle che ci sono state date in sorte.Di sicuro però c’è una fascia d’età che più di ogni altra ha risentito di questi due anni, la stessa che adesso preme con forza per un ritorno alla vita: sto parlando di ragazze e ragazzi adolescenti, che si sono ritrovati per larghi tratti a dover fare a meno delle preziose ore di scuola, momento di condivisione e di costruzione del proprio io. Sappiamo tutti, infatti, quanto gli anni della scuola siano fondamentali non solo per la formazione della propria cultura, per la preparazione al lavoro o a una facoltà universitaria, ma ancora di più nella formazione dell’io di ciascuno di noi, che si costruisce anche grazie ai rapporti con quel magnifico altro-da-sé che sono i pari.Ecco, chi si è trovato all’improvviso sbalzato lontano da questi fondamentali contatti ha davvero conosciuto una forma molto dolorosa di solitudine, amplificata anche dall’età, già caratterizzata in linea generale dai tormenti. Ma ogni fascia d’età ha avuto, in questi due anni, un contatto quanto mai ravvicinato con questa spiacevole compagnia e ha potuto sperimentare quanto essa sappia impadronirsi di noi. In realtà però la liason tra l’uomo e la solitudine, o meglio i diversi generi di solitudini, al plurale, che ciascuno di noi può sperimentare è antico quanto l’uomo stesso o quanto meno quanto la capacità dell’uomo di riflettere: da quando abbiamo scoperto questa abilità, non abbiamo potuto più fare a meno di sentirci soli – magari a volte anche in una stanza affollata… Proprio in quanto rapporto con l’altro, il tema è stato oggetto di analisi filosofica, letteraria e scientifica sin da quando l’uomo ha iniziato a filosofare, a scrivere fiction e a fare ricerche che lo vedessero non solo soggetto pensante che indaga, ma anche oggetto dell’indagine: sicuramente la riflessione sul tema risale ad epoche molto distanti dall’insorgere del covid-19.

Per celebrare degnamente la solitudine e soprattutto per far seguire all’esperienza diretta un momento di analisi, in un ciclo esemplificazione-riflessione, ho pensato di proporre ai lettori di Orione una sorta di recensione di un libro non recentissimo, edito nel 2010, ma che ho personalmente letto da poco e mi ha molto affascinato, in cui la solitudine o le solitudini svolgono un ruolo preponderante. Non a caso ho parlato di riflessioni che coinvolgono scienza, filosofia e letteratura: il libro da cui voglio partire si intitola Le lacrime di Nietzsche, edito in Italia da Neri Pozza, scritto da Irvin Yalom. L’autore racconta la storia di un incontro temporalmente plausibile ma di cui non si hanno notizie storiche e che — leggiamo nella postfazione — non è mai realmente avvenuto. I due personaggi sono il dottor Josef Breuer, medico e studioso di alta levatura vissuto nella Vienna di metà 800, corresponsabile della nascita della psicanalisi anche grazie al suo ruolo di  mentore di un giovanissimo Sigmund Freud e il filosofo più letterario che sia mai esistito, Friedrich Nietzsche. Il libro in questione analizza in dettaglio proprio le solitudini, così differenti, di queste due incredibili figure storiche, che l’autore cala nei panni di personaggi del proprio libro, conservandone però — ove possibile — i tratti distintivi. In una certa misura il libro somiglia alle cosiddette “interviste impossibili”, in cui è possibile riconoscere la voce di un determinato autore ricostruita grazie ad una solida base di studio dello stile dello stesso: allo stesso modo le conversazioni tra i due, che costituiscono la spina dorsale del volume riecheggiano lo stile che li contraddistingue.

La trama del libro è intrigante: un’affascinante e inquietante femme fatale, Lou Salomé, altro personaggio storico che ha segnato profondamente la biografia di Nietzsche, avvicina il dottor Breuer in vacanza a Venezia e lo convince a provare a occuparsi di un paziente che nega di desiderare aiuto e che deve quindi essere curato in un certo senso a propria insaputa: troppo grande è il rischio che colui che secondo Salomé è il più grande filosofo vivente commetta un gesto sconsiderato. Proprio in quel periodo — ha saputo — il dottor Breuer ha aiutato, grazie a una neonata “cura basata sul parlare” una paziente apparentemente incurabile, la famosa Anna O., capostipite di tutte le pazienti psicanalitiche.Così Salomé descrive a Breuer la solitudine dell’amico: «Nietzsche si definisce spesso un “filosofo postumo”, un filosofo per il quale il mondo non è ancora pronto. In effetti il nuovo libro che sta progettando inizia esattamente su questo tema: un profeta, Zarathustra, traboccante di saggezza, decide di illuminare l’umanità. Ma nessuno capisce le sue parole. La gente non è pronta per lui, e di conseguenza, rendendosi conto di essere arrivato troppo presto, il profeta torna alla propria solitudine». Per non rovinare il gusto della lettura a chi vorrà farne esperienza in prima persona mi fermo qui, aggiungendo solo che i due si incontrano e iniziano, rocambolescamente, una serie di sedute in cui cercano di curarsi vicendevolmente, esponendo all’analisi dell’altro (medica-psicologica nel caso di Breuer, filosofica nel caso di Nietzsche) quelli che reputano essere gravi disturbi che rendono a ciascuno dei due la vita un vero inferno. Da qui in avanti il libro diventa uno scontro e un incontro di due differenti solitudini, che vengono analizzate senza pietà alcuna — ma a fin di bene! — dai protagonisti e fanno risuonare nel lettore la sensazione di conoscere da vicino entrambi i disagi che vengono messi in scena. 

Breuer è un uomo di grande successo, medico dei vip viennesi di fine ‘800, con una famiglia invidiata e invidiabile, ricco e potente, in ottima salute, ma che ha sviluppato una sorta di ossessione morbosa per quella che nei decenni a venire si rivelerà la sua paziente più famosa, Anna O., al secolo Bertha Pappenheim. Così parla di questo rapporto a Nietzsche:

«Inoltre» riattaccò Breuer, «Bertha allevia la mia solitudine. Per quanto io risalga a ritroso con la memoria, ho sempre avuto paura degli spazi vuoti del mio intimo. Una solitudine che non ha nulla a che vedere con la presenza o l’assenza degli altri. Capite che cosa intendo?».

Il filosofo capisce benissimo, pur per motivi molto differenti, le parole del medico, infatti gli risponde: «A volte credo di essere l’uomo più solo che esista. E, come nel vostro caso, ciò non ha nulla a che vedere con la presenza degli altri… Infatti detesto gli altri, quelli che mi derubano della mia solitudine senza offrirmi veramente compagnia». Come si vede, Nietzsche è strutturalmente solo: filosofo fieramente inattuale, incapace di rapportarsi con le donne e in grande difficoltà anche con gli amici, da cui si sente tradito — il che lo ha portato ad isolarsi sempre più. A ciò vanno aggiunti i suoi misteriosi guai fisici, che ne fanno una figura dolente, sempre alla ricerca della salute fisica, impossibilitato a risiedere in un unico luogo, costantemente in movimento per trovare il clima più adatto a lenire i propri dolori. Questa solitudine, però, lo ha anche portato alle sue massime intuizioni filosofiche, che — sembra dire nel racconto — nascono proprio grazie a solitudine e sofferenza psicofisica. Se non sappiamo abbracciare la nostra solitudine, useremo gli altri semplicemente come uno schermo nei confronti dell’isolamento. Soltanto se si sa vivere soli come un’aquila – senza alcun pubblico — ci si può volgere con animo innamorato a un’altra persona; soltanto allora ci si può preoccupare dell’espansione dell’altro. Proprio per questo motivo, per larghi tratti rifiuta l’aiuto e il giovamento che potrebbe trarre dalla neonata tecnica psicanalitica e tiene a distanza Breuer, perché, spiega:

«Appena dico: “Non reggo più la mia solitudine”, precipito in ineffabili abissi per ciò che concerne l’autostima, avendo abbandonato il supremo che è in me. L’itinerario che mi sono assegnato mi impone di resistere ai pericoli che potrebbero allontanarmene con la lusinga». Verso la fine del libro emerge che il timore che attanaglia queste due figure così diverse è dello stesso segno. In uno dei loro ultimi dialoghi, possiamo leggere: 

«Dico che il mio coraggio nell’affrontare la solitudine fuori dal gregge è prova della mia grandezza. «Però sono continuamente ossessionato da una paura…» e così detto Nietzsche ebbe una breve esitazione, prima di ributtarsi. «Nonostante la mia battuta circa il fatto che sarei un filosofo postumo, nonostante la mia certezza che il mio giorno verrà, persino nonostante la mia consapevolezza dell’eterno ritorno, sono ossessionato dal pensiero di morire in solitudine».

Per concludere, il libro è davvero scritto molto bene e risulta di lettura svelta e appassionante, non è mai noioso o pedante ed è capace di restituirci una vista sulla Vienna di fine ‘800 molto accurata, mentre ci apre una finestra sull’arte di capire il prossimo, di scendere a patti con questo sentimento così onnipresente e di illuminarci la strada verso quella che è forse l’unica vera possibile medicina, che Breuer sintetizza in maniera mirabile:Forse siamo tutti persone che soffrono allo stesso titolo, incapaci di vedere la verità dell’altro.

TUTTE LE CITAZIONI SONO TRATTE DA

Irvin Yalom: Le lacrime di Nietzsche — Neri Pozza — 2010

La copertina del libro Le lacrime di Nietzsche di Irvin D. Yalom
La copertina del libro Le lacrime di Nietzsche di Irvin D. Yalom

per citare questo articolo

Aldo Torrebruno:

Le lacrime di Nietzsche,

n. 26 - Solitudini,

settembre-dicembre 2022

ISSN 2611-0210 Orione Cartaceo; ISSN 2611-2833 Orione online in formato accessibile

In questo numero

|

In Preludio a un bacio di Tony Laudadio, Emanuele racconta in prima persona la sua storia dolcissima, complicata e anche un po’ surreale. Emanuele è un barbone, un musicista solo che, per mantenersi, suona agli angoli delle strade, facendo innamorare i passanti della sua musica.

|

Quando la solitudine non farà più rima con marginalità sociale, etnica, culturale, economica, politica vivremo in una dimensione sana, dove saremo in grado di apprezzare la faccia buona della solitudine. Quella che si traduce in un tempo privato ed estremamente prezioso per ogni singolo essere umano.