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grafica, dettaglio di copertina

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L’orso ammodo

1 Settembre 2022
Per gli altri ognuno di noi è una macchia di Rorschach.
grafica, dettaglio di copertina

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L’orso ammodo

1 Settembre 2022
Per gli altri ognuno di noi è una macchia di Rorschach.

All’alba di un giorno di giugno del 1983, tra veglia e sonno, sognai una poesiola che, appena mi alzai, trascrissi:

QUEST’INGANNO

S’altro v’è, non è 
che quest’inganno si tronca.
D’anno in anno poi ricresce
simile in questo all’albero potato.
Esce, quindi riesce di scena:
scema le carte al polso…
Morso non è, ma conduttura
d’un orso ammodo,
sordo in solitudine.

Interpretai questi versi come una dichiarazione di poetica. Soprattutto gli ultimi tre, in cui l’inganno, uscito di scena, si autodefinisce non come modalità aggressiva di un orso (morso), ma conduttura, ossia impianto di distribuzione alimentato da altro da sé. In breve, da un’animalità e/o socialità caratterizzata da goffaggine, sgarbatezza, scontrosità. Il fare poetico risultava così essere il frutto di un animale-corpo (l’orso), socializzato come si conviene, ma sordo grazie anche all’attività svolta “in solitudine”. Ci si può sentire soli pure in un gruppo, se la socialità che circola è quella “ammodo” del comportarsi secondo le regole e le convenzioni sociali. Sulla vita quotidiana come rappresentazione e scena teatrale, Erving Goffman ha scritto pagine fondamentali. Il poeta è un orso che ha bisogno di solitudine. Deve stare attento però alla sua “sordità”. Va bene essere sordi alle convenzioni sociali e limitarsi ad essere “ammodo” quanto basta per sopravvivere, ma non si può essere sordi all’Altro che ti fiorisce dentro, allo spettacolo dell’Io che germoglia e si riproduce come tanti fiori selvatici in un prato.

LE PASSEGGIATE SOLITARIE

Fino a una decina d’anni fa andavo in bici. Da quando mi sono ritrovato con una trombosi alla gamba destra e, dal duemiladiciotto, ho subito un intervento di bypass coronarico, ogni pomeriggio, meteo permettendo, faccio una lunga passeggiata. 

Ho degli illustri predecessori: Jean-Jacques Rousseau con Le fantasticherie del passeggiatore solitario e Robert Walser con La passeggiata. Le mie camminate mi ravvivano e mi regalano emozioni, pensieri, la vista di angoli di prato, di parchetti, la scoperta di sentieri inesplorati, di cascine, incontri inaspettati, versi…

Ieri, dopo i primi cento metri fuori casa, mi si è formato in testa il primo verso: «In certi momenti la mia mente è vuota». Sono andato avanti a rimuginare e, all’altezza del cimitero nuovo, ho scritto sulle note del mio cellulare la prima strofa:

In certi momenti la mia mente è vuota.
Sembra disimpegnata da qualsiasi
progetto che abbia un respiro più lungo
dei passi con cui la porto in giro
ad ossigenarsi. Ammesso che sia 
ossigeno quello che in questi giorni
’inala sui marciapiedi metropolitani. 

Attribuisco l’atmosfera di questi versi un po’ alla mia età. Sono un uomo che tra qualche mese compie 73 anni; per quanto “orso ammodo”, sono stato impegnato fino a qualche anno fa nell’attività professionale (dirigente scolastico), politica (assessore e vicesindaco a nome di una lista civica), culturale (partecipazione a diverse associazioni), sociale. Ho ridotto enormemente qualsiasi attività dopo l’intervento chirurgico e sono stato costretto in casa per i molteplici confinamenti dovuti al Covid 19. Cerco di usare la solitudine in modo creativo, ma ne soffro. Sicuramente registro una vena depressiva, una riduzione d’orizzonti, la sensazione di esser finito nella parte più bassa di un imbuto. A questo punto, mi viene in mente mio padre che, alla mia stessa età, andava su è giù dal Nord al Sud, da Cologno Monzese a Bisaccia per coltivare la vigna. Gli anziani sono spesso soli. Lui combatteva la solitudine lavorando. Io come posso fare? Posso combatterla scrivendo? Dedicandomi anima e corpo alla poesia? Ho bisogno di una “missione”, di un “progetto fondamentale”, qualcosa che impegni in modo vitale il mio “nucleo interiore”. Ho in testa questo giro di pensieri, quando all’altezza della metropolitana di Cologno Nord, vedo venirmi incontro una fanciulla che sta litigando ad alta voce: «Tu mi nascondi qualcosa! Non è possibile che ogni volta non rispondi! Tu stai con altre donne! Con persone di sesso femminile!». Così si lamenta al cellulare la bella figliola. Che dirle? È probabile. L’amore fa soffrire. Questa è la prima cosa da capire. Mi fa ridere quella precisazione: «con persone di sesso femminile». Ma evidentemente ne sentiva il bisogno.

DIALETTICA DELLA SOLITUDINE 

L’amore fa soffrire. Ma fa soffrire ancora di più la mancanza d’amore e/o quello non corrisposto. Si sa quanto sia forte il desiderio di fusione, la voglia impossibile di fare di due corpi uno solo. Toccare, accarezzare, baciare il corpo di un’altra persona è azione possibile. Impossibile condividere il suo sentirsi toccato. Ecco il paradosso, da un lato l’impossibilità di un’autentica intimità, dall’altro la consapevolezza che l’Io si forma nella relazione con gli altri o, come sostiene Rimbaud in una lettera al suo professore Georges Izambard, che «Je est un autre». Con Rimbaud non solo l’Io non è più padrone in casa propria, come affermava Freud, ma è messo in discussione, è destituito della sua individualità e soggettività. Al posto dell’Io è l’Altro che parla, un Altro ignoto, insondabile, sconosciuto. Siamo soli, come canta Vasco Rossi. Inevitabilmente soli e spesso parlati da metafisici altri di cui non conosciamo labbra, sguardi, sorrisi. Passeri più o meno solitari, per le nostre relazioni non ci resta che ripiegare sulle nostre “fantasie di avvicinamento” (A. Zanzotto).

PINUCCIO E «LA SERA DEL DÌ DI FESTA»

Se devo pensare a un uomo solo, il primo che mi viene in mente è Pinuccio. Presidia permanentemente piazza Duomo a Bisaccia. Quando mi vien voglia di fare due passi per dare aria al cervello, m’imbatto inevitabilmente in lui. Spesso facciamo un gioco. Uno di noi comincia i primi versi di una poesia imparata a memoria e l’altro continua. Una domenica, verso le 11, esco in piazza. Mi viene incontro e s’avvicina. Lo saluto e gli faccio: «Dolce e chiara è la notte e senza vento, / e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti / giace la luna…» Questa volta non continua ma mi corregge: non è “giace”, ma “posa”. Davvero? Controlliamo su Google La sera del dì di festa. Ha proprio ragione. «Bravissimo Pinuccio! Hai una memoria migliore della mia…». Torno a casa con due tarli nella mente. Ma perché ho detto “giace”, invece che “posa”? Semplice: perché “giace” è più musicale. Riprende il “dolce” del primo verso, il “tace” del quinto e il “traluce” del sesto. Ma Leopardi ha scritto “posa” e io mi attengo alla sua lezione. Il secondo tarlo: qual è l’Altro che passeggia nella stanza dell’Io di Pinuccio? Una donna sicuramente. O anche il fantasma di più donne. Non è escluso che vaghino tutti questi versi…

LA SOLITUDINE FINALE

Se si è inevitabilmente soli da vivi, figurarsi nei momenti finali. Chi si fa una quarantina di giorni in ospedale e si sottopone a qualche intervento di una certa importanza è in qualche modo costretto a pensare alla sua morte. A me è accaduto nel 2018 e ho avuto la fortuna di essere confortato dal coro sociale dei miei familiari e dei miei amici. Ma forse abbiamo dimenticato cosa è successo nel 2020, abbiamo dimenticato le bare in fila a Bergamo o al Pio Albergo Trivulzio. Ho ancora in testa il ricordo di quelle brutte giornate in cui ti poteva capitare di morire in totale solitudine in uno di quei reparti di terapia intensiva. Tremendo. Occorre aver fortuna anche a morire…

per citare questo articolo

Donato Salzarulo:

L’orso ammodo,

n. 26 - Solitudini,

settembre-dicembre 2022

ISSN 2611-0210 Orione Cartaceo; ISSN 2611-2833 Orione online in formato accessibile

In questo numero

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In Preludio a un bacio di Tony Laudadio, Emanuele racconta in prima persona la sua storia dolcissima, complicata e anche un po’ surreale. Emanuele è un barbone, un musicista solo che, per mantenersi, suona agli angoli delle strade, facendo innamorare i passanti della sua musica.

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Quando la solitudine non farà più rima con marginalità sociale, etnica, culturale, economica, politica vivremo in una dimensione sana, dove saremo in grado di apprezzare la faccia buona della solitudine. Quella che si traduce in un tempo privato ed estremamente prezioso per ogni singolo essere umano.