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Dettaglio di Copertina del numero 23 di Orione, Nutrimento. Omaggio a Dante Alighieri, illustrazione di Bruna Pallante

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Il Food alla prova del Tutto

2 Agosto 2021
Ti andrebbe di scrivere un articolo sul food? Diamine, certo che mi va! Non vedo l’ora.
Dettaglio di Copertina del numero 23 di Orione, Nutrimento. Omaggio a Dante Alighieri, illustrazione di Bruna Pallante

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Il Food alla prova del Tutto

2 Agosto 2021
Ti andrebbe di scrivere un articolo sul food? Diamine, certo che mi va! Non vedo l’ora.

Si accendono mille voci interiori e le lascio decantare durante la notte. Il mattino dopo entro in bagno per farmi la barba. È presto, le campagne vicine sono animate dal vocio degli uccelli e il resto della famiglia non si è ancora risvegliato. Ne approfitto per pensare.

Guardo nello specchio e apostrofo il tizio con il rasoio in mano. 

«Che scriviamo?» gli chiedo a bruciapelo. Tira un profondo respiro. 

«Qual è il tema?»

«Alimentazione» 

«Quante battute abbiamo?»

 «Tra le 4.000 e le 8.000»  

 «Dicevamo…» riprende lui riflettendo a voce alta. «Alimentazione… Beh, cominciamo a porci qualche domanda: che cos’è una sana alimentazione?». 

«L’alimentazione è sana quando garantisce agli individui un apporto nutrizionale equilibrato per una crescita senza malattie o carenze derivanti dal cibo», recito io poco sicuro di dove voglia andare a parare lui. 

«Una bella conquista, che porta chi si sfama (e mangia spesso un alimento solo) a nutrirsi bene grazie a una dieta variegata. Questo, però, succede solo in alcune parti del mondo». 

Il rasoio passa sotto la mandibola. Mugugno all’indirizzo del mio interlocutore invitandolo ad andare avanti. 

«Abbiamo un problema demografico: cresciamo di quasi 100 milioni di persone all’anno. Ma anche di persone che soffrono la fame: quest’anno, secondo i dati UNICEF, sarà una carneficina a causa della pandemia. Ci sono troppi valori che crescono: ogni essere umano aspira a non morire di inedia, coloro che aspirano allo stile di vita dei paesi più ricchi aumentano e la loro dieta è aumentata di 700 calorie al giorno pro capite in cinquant’anni. Merito dell’industrializzazione crescente nelle aree ricche, ma anche delle monocolture industriali conquistate a forme di coltivazione tradizionale o alle foreste nelle aree in via di sviluppo, con cui abbiamo aumentato varietà e quantità dell’alimentazione, come al solito, nei paesi più ricchi». 

«Aspetta» lo interrompo io, «questo è un problema etico e politico: non stavamo parlando di alimentazione?» obietto. 

Mi fissa dallo specchio col rasoio fermo a mezz’aria: «E cosa credi che sia l’alimentazione, se non una questione etica? Anzi, etica, politica ed ecologica». 

Rifletto. «Allora potrei parlare di questo… Mi stai dicendo che il problema della nutrizione, nella sua dimensione individuale, dovrebbe essere anzitutto un problema di nutrimento, ovvero di relazione, delle comunità, delle collettività?» 

«Certo! Altrimenti non ne usciremo mai. Vedi,» riprende più a bassa voce mentre il rasoio corre lungo le curve del mento, «il problema non è tanto nell’alimento, quanto nel cibo». 

Mi scruta intensamente, poi mi chiede: «Hai presente la differenza, no?» 

«Sì» gli rispondo io, per la verità non molto sicuro.

«Ok, allora: la parola alimento viene dal latino alo, che significa accresco. Ma il cibo è molto di più: è anche gusto, gastronomia, identità, rito, religione. Diciamo di un alimento che è salutare, ma buono lo è il cibo». 

«Sono d’accordo, ma questo cosa c’entra con la crisi alimentare?» 

«C’entra perché le politiche alimentari sono una questione di scelte, e nello specifico siamo chiamati a scegliere cosa vorremo nel prossimo futuro non per noi stessi o per il nostro pezzo di mondo ma per il pianeta intero, per l’umanità tutta». 

«Mi fai pensare una cosa», gli dico. 

«Cosa?» 

«Che molte delle scelte salutari per noi non lo sono per gli altri e nemmeno sono etiche, a meno che con etica non vogliamo indicare una mera convenienza, il campo visivo degli asini coi paraocchi». 

«Hai centrato il punto!» esclama indicandomi col rasoio in mano. 

Continuo, ormai accalorato: «Potrei parlare di questo, allora! Potrei fare l’esempio della soia: ci viene detto che al nostro organismo fa bene ma per produrla vengono disboscate le foreste tropicali o acquistate le piccole proprietà per creare enormi latifondi provocando l’esodo di migliaia di campesinos che rimangono privi di sostentamento…».

«…e non di rado vengono uccisi dalla Polizia negli scontri o da commandos di mercenari», mi interrompe lui. Continua: «Tutto questo perché ci siamo convinti che la soia sia una panacea. Gli stessi problemi esistono rispetto all’economia sostenuta dalla scelta vegana: ci sono stime contrastanti sugli impatti, ma c’è anche una questione etica perché rischiamo di imporre l’ennesimo modello neocoloniale nelle aree povere del mondo e di spacciare un’etica bianca e occidentale per un obiettivo ecumenico; il che, oltre a essere poco scientifico, ignora il fatto che non tutte le terre si prestano all’agricoltura ma solo all’allevamento. Ti puoi immaginare quanti ulteriori problemi etici e politici…».

«Lascia stare il veganesimo» lo interrompo io. «Non mi sembra il caso».

«No, invece lo devi dire. La religione può avere tabù, la scienza no. E ti dirò di più, tanto per rimanere nell’esempio: l’87% dei suini allevati in Emilia-Romagna è allevato con la soia». 

Lo guardo sconfortato e provo a completare il suo discorso: «Insomma, per promuovere un prosciutto sano in Italia, generiamo iniquità altrove. Il problema etico, quindi, è anche un problema economico e di marketing». 

Annuisce. 

«Tanto varrebbe che il prosciutto se lo producessero in Paraguay, se proprio devono anche produrre soia da mangime. Vedi, purtroppo il buon cibo non è esportabile su larga scala senza tradire se stesso. È una forzatura che funziona solo se alla realtà si sostituisce una retorica sempre più pervasiva di cui siamo prigionieri». 

«Se questo è vero», aggiunge, «il problema economico è soprattutto un problema ecologico, quindi scientifico». 

Non sono sicuro di aver colto il salto logico. Provo ad approfondire: 

«Alludi alla questione dell’inquinamento?»

«Guarda oltre le fonti fossili necessarie a trasporti e logistica per esportare sempre di più: pensa all’ecologia come a un modo di stare al mondo nel quale nessuno di noi può pensarsi più come un individuo ma solo, sempre, come parte del tutto…». 

Lo interrompo sull’onda dell’entusiasmo: 

«…e se questo è vero, allora non possiamo fare scelte di parte ma solo scelte che preservino il benessere di tutti, giusto?»

Annuisce. «Giusto. Restano solo quelle che ci legano gli uni agli altri. Scelte che iniziano nella nostra cucina. Non possiamo più pretendere la disponibilità di tutto ovunque e sempre. Bisogna iniziare ad accettare la diversità per luoghi, ma senza disparità; mangiare tutti di meno per produrre e consumare di meno». 

«Sì, ma così si provocherebbe il collasso dell’economia mondiale e, quindi, altra povertà e altra fame. Non ne usciamo più!», sbotto. Improvvisamente mi sembra di essermi perso. Lui sembra aver capito il mio disorientamento e mi spiega: 

«No, così non ne usciamo. Non finché non accettiamo di urlare una bestemmia: quella per cui le regole dell’attuale sistema produttivo ed economico non sono né inviolabili né perfette. E, rotto il tabù, dobbiamo accogliere le migliaia di pratiche virtuose che già esistono e riorientare la nostra visione del mondo, tornare a pensare al futuro che non potremo vedere». Mi guarda e sospira con un sorriso amaro.

«Ascolta: lo so che volevi solo un suggerimento, ma da qualunque parte tu voglia partire, non riuscirai a isolare un punto di vista senza coinvolgere tutti gli altri. I temi sono molti, il food è uno». 

Il mio è un silenzio imbarazzato. Infine domando a fatica: 

«Ma io, adesso, nell’articolo che ci scrivo?»

Lui mi guarda e il suo sorriso si allarga mentre il rasoio sale lungo la seconda basetta. 

«Scrivi tutto quello che abbiamo detto, la catena dei nessi causa-effetto. Scrivi che parlare di food è parlare di tutto e che agire su un piano implica il compiere delle scelte su tutti gli altri».  «Ma così è un caos!» sbotto io, frustrato. 

«Che cosa», mi fredda lui: «l’articolo o la realtà che abbiamo costruito in questo mondo?»

«Ma non abbiamo una soluzione» dico, «che posso scrivere?»

«No, non c’è una sola soluzione e manca ancora un passo decisivo».

Pausa teatrale. Vuole che glielo chieda. Ok, glielo chiedo.

«Qualcosa di analogo alla Teoria del Tutto in fisica. Una nuova visione che tenga insieme ogni piano di lettura possibile. Dopodiché le azioni potranno essere solo conseguenze logiche».

Posiamo il rasoio all’unisono e ci guardiamo per una manciata di secondi col sorriso amaro di chi si è messo sotto scacco da solo e sa che, purtroppo, è giusto così.

«Ehi» mi chiama mentre mi sto voltando. Lo incalzo scuotendo la testa.

«Comunque non è impossibile, sai? Secondo me ce la potremmo fare. Magari in zona Cesarini ma ce la potremmo anche fare».

BIBLIOGRAFIA

per citare questo articolo

Francesco Panzetti:

Il Food alla prova del Tutto,

n. 23 - Nutrimento,

ISSN 2611-0210 Orione Cartaceo; ISSN 2611-2833 Orione online in formato accessibile

In questo numero

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Un’intima intervista con la chef stellata Rosanna Marziale. Con lei parlare di cibo significa parlare di poesia, emozioni, sentimenti, legami. L’obiettivo della sua cucina è quello di nutrire secondo materie prime di indiscussa qualità senza dimenticare il modo, la forma e i tempi in cui proporre piatti che diventino momenti di vita da ricordare.