C’è la solitudine per scelta dei meditativi, degli eremiti, degli stiliti. La solitudine era degli oracoli, è dei gatti, di chi si sente solo in mezzo agli altri. Sola è la famiglia nella quale ognuno sta davanti al proprio smartphone o alla propria TV. Soli sono gli astronauti nello spazio, gli eroi. La solitudine è rammemorante negli anziani longevi, sudata nella fatica dei minatori, messa in conto dagli esploratori, accettata dai coloni in terre straniere. Vi è la solitudine dei genitori lontani dai figli e quella dei figli lontani dai genitori. La solitudine di chi fugge, di chi vive in un paese di cui ignora l’idioma. La solitudine di Gesù nel Getsemani, sul cammino per il Golgota o, ancora, durante i quaranta giorni nel deserto — tempo biblico dell’isolamento e della purificazione che conduce al rinnovamento. La solitudine di Christopher McCandless, che fugge da tutto e scopre troppo tardi il valore della condivisione. Dei traditori, dei rei, dei portatori di segreti inconfessabili. La solitudine di chi basta a se stesso. La solitudine dei bambini, che genera noia e, attraverso di essa, stimola la fantasia. Quella delle perfezioni. Quella degli imperfetti. Dei diversi, dei discriminati, di chi comunica con le palpebre. La solitudine di chi ha passioni che non condivide con nessuno. La solitudine dei pionieri, di chi si sacrifica. Dei profeti, di chi vive fuori dal proprio tempo. La solitudine di chi parte. La solitudine, forse, di chi muore e, quella, certamente, di chi resta inchiodato a questa Terra.
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In Preludio a un bacio di Tony Laudadio, Emanuele racconta in prima persona la sua storia dolcissima, complicata e anche un po’ surreale. Emanuele è un barbone, un musicista solo che, per mantenersi, suona agli angoli delle strade, facendo innamorare i passanti della sua musica.