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Sola me ne vo per la città

1 Settembre 2022
Orientarsi nella realtà esige ritagli nel flusso infinito e mutevole delle esperienze. Tali ritagli sono i concetti, alcuni dei quali sfuggono ai nostri tentativi di interpretazione per il loro livello di astrazione (Corbetta, 2003).

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Sola me ne vo per la città

1 Settembre 2022
Orientarsi nella realtà esige ritagli nel flusso infinito e mutevole delle esperienze. Tali ritagli sono i concetti, alcuni dei quali sfuggono ai nostri tentativi di interpretazione per il loro livello di astrazione (Corbetta, 2003).

È quanto accade con la solitudine, che oscilla tra due dimensioni: condizione e sensazione, l’una più soggettiva ed emotiva, l’altra più oggettiva ed esteriore. Andiamo a vedere allora quante e quali solitudini si collocano fra questi poli. 

Guardando alle cause, la Relational Loneliness Theory pone l’accento sull’isolamento sociale e quello emotivo, entrambi originati dall’ambiente dei legami collettivi. Sennett aggiunge la ribellione del sognatore e la differenza di colui che è consapevole di avere un’interiorità peculiare.

Il modello della discrepanza cognitiva si concentra sulla perceived isolation, connessa al gap tra relazioni desiderate ed instaurate. La lingua inglese introduce una terza dimensione, quella della volontarietà di chi sceglie di distaccarsi per riflettere su se stesso o dedicarsi ad attività cognitivamente impegnative e intrinsecamente attraenti (solitude). Ciò che emerge nitidamente è che, sia che la approfondiamo nei suoi risvolti soggettivi sia che la indaghiamo nella sua veste oggettiva, la solitudine ha bisogno di referenti per esplicitarsi. Nel primo caso ricorriamo a emozioni e percezioni, nel secondo all’isolamento effettivo. A riguardo, mentre risulta condivisibile che le persone si sentano sole in certi momenti della loro storia biografica, più dubbia appare l’idea che possano esserlo realmente. Sembra che la solitudine riesca a oltrepassare la fisicità e la contemporaneità dell’esperienza mediante il rapporto con l’Altro interiorizzato o esteriorizzato. Prescindendo dal confronto diretto con quest’ultimo, essa s’impone e si diffonde. Difatti, se per delineare la nostra identità necessitiamo dell’altrui riconoscimento, per sentirci soli bastiamo a noi stessi, in quanto contenuti e contenitori di molteplici alterità aspaziali e atemporali. Come afferma Simmel in “Sociologia” (1908), lo spazio, interiore o esterno, trascende la vicinanza corporea, sostituibile dai mezzi di rapporti indiretti e dalla fantasia, e il tempo si riflette nei legami perduti (riverberi del passato) o sperati (anticipi del futuro) di cui, comunque, non è possibile godere.

Passiamo ora al capitolo Genesi. Aristotele (Politica, 1253a) sosteneva: «L’uomo è per natura un animale politico e chi vive fuori dalla comunità civile, per sua natura e non per qualche caso, o è un abietto o è superiore all’uomo». La citazione introduce l’approccio teorico dominante, che individua il dilagare della solitudine nella disgregazione dei vincoli di solidarietà e fraternità essenziali per il vivere sociale. Già Tonnies, nel 1887, denuncia la sostituzione delle relazioni immediate e personali della Gemeinschaft (comunità) da parte delle interazioni fredde e indirette della Gesellschaft (società). Bauman (2000) afferma che l’uomo contemporaneo, non essendo disposto a sacrificare la propria libertà per godere delle rassicurazioni dell’appartenenza comunitaria, si è consegnato alla solitudine. Ainis (2018), a riguardo, ci propone un’ovvia riflessione sugli effetti della mediazione tecnologica nelle comunicazioni — che favorisce contatti superficiali, deresponsabilizzanti e incentivanti un falso sé — ma va oltre, spostando il focus sull’eclissi di quelli che Simmel chiama gli apriori della società (famiglia, Chiesa, partito, vicinato), fonte di scissione dalla collettività e incapacità di orientarsi nel caos del mondo, nonché sulla fagocitazione dei luoghi reali ad opera dei non-luoghi (Augé, 2009) e sulla precarizzazione dell’esistenza che conduce l’uomo, impotente e smarrito, a ritirarsi. Questa condizione, aggiunge Beck (2000), porta all’individualizzazione dei rischi, ovvero il singolo «sente gravare su di sé il peso della responsabilità di gestire e affrontare in prima persona anche quei problemi e quei rischi che dipendono dalle istituzioni». Tuttavia, esiste un’altra faccia della medaglia, quella degli autori che sostengono che la comunità sia stata eccessivamente idealizzata. La network analysys dimostra che nel nostro tempo non si appartiene più ad un singolo gruppo omogeneo e confinato, ma contemporaneamente a più reti. Questo processo determina il networked individualism nel quale si assiste a una costante, selettiva e attiva personalizzazione dei legami, tendenza non antisociale ma semplicemente oltre-spaziale. Anche Klinenberg (2012), nel suo studio etnografico Going Solo. The Extraordinary Rise and Surprising Appeal of Living Alone, illustra la destigmatizzazione del vivere soli favorita dalla nascita delle metropoli. Il nuovo singleton non è isolato, anzi spesso è iperconnesso, organizza la propria rete dinamicamente, la gestisce e ne trae risorse utili. Nonostante sull’oggetto di studio vengano formulate anche osservazioni positive, è inequivocabile che nell’immaginario prevalgano gli effetti negativi ad esso associati.

Pertanto, la domanda è: «Com’è possibile contrastare il dilagare della solitudine»? In primis stimandone l’entità. Attualmente le indagini hanno consentito di tratteggiare le seguenti tendenze: aumento delle persone che vivono da sole a causa dell’incremento del tasso di invecchiamento, della riduzione delle nascite e del cambiamento delle norme culturali; notevole correlazione tra solitudine e rischi per la salute; livelli di incidenza più elevati nei Paesi collettivistici. Gli acceleratori del problema sono: mancanza di opportunità di incontri; inadatto regime abitativo; scarse risorse finanziarie; problemi di salute fisica; specifici attributi psicologici. Secondo l’Eurostat, nel 2015, il 13,5% degli over 16enni italiani dichiarava di non avere una persona alla quale chiedere aiuto, il 12% di non avere qualcuno con cui parlare dei propri problemi personali. La media europea si attestava sul 6%. L’Italia deteneva un triste primato. Nel 2018, l’Istat rilevava circa tre milioni di persone senza una rete amicale; i nuclei unipersonali erano pari al 33,3% del totale delle famiglie. Il Rapporto Istat BES (Benessere equo e sostenibile) ha evidenziato che, tra il 2019 e il 2021, è diminuita la quota di popolazione molto o abbastanza soddisfatta delle relazioni amicali (-10%) e familiari (-2,6%). Il Rapporto Loneliness in the EU. Insights from surveys and online media data 2021 ha palesato che la pandemia ha ingigantito il fenomeno in tutta Europa, portando la percentuale di coloro che si sentono soli al 25%. Quali sono le azioni possibili contro una simile epidemia? L’ingegnosa creatività dell’economia ha messo in campo agenzie per prenotare amici con cui fare shopping, robot progettati per essere i nostri animali da compagnia, algoritmi che prevedono le nostre preferenze sentimentali, intelligenze artificiali con cui parlare. Ma non sarà troppo? O troppo poco? Alcuni studiosi, come Coleman, suggeriscono di impiegare il capitale sociale per rinvigorire la coesione della società, altri invocano la forza autopoietica della relazionalità contro l’individualismo e l’utilitarismo (Donati e Colozzi, 2006). L’OMS, nel delineare la strategia Health 2020 e successivamente l’Agenda 2030, ha sottolineato che il supporto alle reti sociali è fondamentale per contrastare l’isolamento dei singoli e favorire forme inedite di solidarietà e cittadinanza, utili a creare comunità locali resilienti e ambienti di vita e lavoro favorevoli al benessere.

Da quanto detto, si potrebbero individuare almeno due strade: la prima diretta al potenziamento delle soft skill individuali e la seconda incentrata sull’analisi e il rafforzamento della struttura sociale. Si pensi all’istituzione dei Ministeri della Solitudine in alcuni Paesi. La Hertz (2021) aggiunge una terza via, interpretando la solitudine come uno stato dovuto al capitalismo neoliberista, provato dalle persone che si sentono politicamente ed economicamente escluse, trascurate e tradite dai propri rappresentanti e dalle istituzioni. Per contrastarla bisogna trasformarsi nuovamente da consumatori a cittadini, da egoisti ad altruisti, da astanti indifferenti ad attori partecipi, esercitando capacità di ascolto ed empatia, promuovendo cambiamenti positivi, piegando i nostri interessi a quelli della collettività. E quest’ultimo spunto sembra il più fertile perché ci invita ad un agire sociale razionale che escluda i comportamenti da free rider, i quali compromettono alla base le nostre società, ledendo quella trust, che per Putnam si declina anche in civicness, indispensabile all’azione benefica del capitale sociale e umano, perché, parafrasando Sgobba (2020), fidarsi è bene ma non fidarsi è peggio.

BIBLIOGRAFIA

per citare questo articolo

Tiziana Buono:

Sola me ne vo per la città,

n. 26 - Solitudini,

settembre-dicembre 2022

ISSN 2611-0210 Orione Cartaceo; ISSN 2611-2833 Orione online in formato accessibile

In questo numero

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In Preludio a un bacio di Tony Laudadio, Emanuele racconta in prima persona la sua storia dolcissima, complicata e anche un po’ surreale. Emanuele è un barbone, un musicista solo che, per mantenersi, suona agli angoli delle strade, facendo innamorare i passanti della sua musica.

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Quando la solitudine non farà più rima con marginalità sociale, etnica, culturale, economica, politica vivremo in una dimensione sana, dove saremo in grado di apprezzare la faccia buona della solitudine. Quella che si traduce in un tempo privato ed estremamente prezioso per ogni singolo essere umano.