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Libera

10 Luglio 2019
«Nel possesso della terra [i mafiosi] continuano a vedere un segno di prestigio, quel “quarto di nobiltà” acquisito quando, al tramonto dell’epoca rurale, smisero di gestire i latifondi per conto dell’aristocrazia terriera per diventare a loro volta possidenti».[1] Dunque la terra (e il suo possesso) era, e resta, per le mafie,

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Libera

10 Luglio 2019
«Nel possesso della terra [i mafiosi] continuano a vedere un segno di prestigio, quel “quarto di nobiltà” acquisito quando, al tramonto dell’epoca rurale, smisero di gestire i latifondi per conto dell’aristocrazia terriera per diventare a loro volta possidenti».[1] Dunque la terra (e il suo possesso) era, e resta, per le mafie,

sul piano culturale e simbolico oltre che su quello economico, un valore aggiunto al quale le organizzazioni criminali, pur in un’ottica e in una prospettiva di modernità e di innovazione, non sono minimamente intenzionate a rinunciare. Né sarebbe conveniente — dal loro punto di vista — farlo, se si considera l’entità dell’arricchimento che ne ricavano attraverso un’azione sistematica di sfruttamento e di sfregio. Entrambe le circostanze, e cioè il volume d’affari che ruota intorno alla terra e lo sfregio costante che ne è alla base, sono ampiamente testimoniate dai numeri. Secondo l’ultimo rapporto Ecomafia[2] di Legambiente, il numero delle ordinanze di custodia cautelare emesse per reati ambientali nel 2018 ha fatto un balzo in avanti, rispetto all’anno precedente, del 139%. Sono stati 84 al giorno, più o meno 3,5 all’ora, gli illeciti ambientali registrati nel 2017, con le mafie che continuano a svolgere un ruolo cruciale: 331 i clan censiti da Legambiente attivi nelle varie forme di criminalità ambientale. C’è poi tutta la filiera agroalimentare, con dati non meno preoccupanti. Lo denuncia il sesto rapporto Agromafie[3] sui crimini agroalimentari redatto da Coldiretti, Eurispes e dall’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura presieduto da Giancarlo Caselli: «non vi sono zone franche rispetto alla presenza di interessi di grandi e piccole organizzazioni criminali: la produzione, la trasformazione, il trasporto, la commercializzazione, la vendita al pubblico sono sempre più infettati e in numerosi casi addirittura  manipolati  da  soggetti  che,  disponendo  di  grandi  risorse economiche, accrescono la dimensione del loro patrimonio di provenienza illecita, investendo su uno dei settori che non conoscerà mai crisi». Rispetto ai due anni precedenti, il rapporto stima una crescita del fatturato delle Agromafie fino ad almeno 24,5 miliardi di euro, circa il 10% del fatturato complessivo criminale nel nostro Paese. Un pozzo senza fondo che continua a rimpinguare le casse dei clan, a partire dalla proprietà dei terreni fino alle nostre tavole. Se dunque questo è il valore simbolico del possesso della Madre Terra per le mafie -— e se questo è il quadro degli interessi criminali e mafiosi ad essa legati — si comprende bene perché «la dimensione della terra e dell’agricoltura sono sempre stati centrali nell’attività di Libera, frutto della convinzione che le mafie, prima che una realtà criminale, sono un male culturale, una mentalità che va sradicata con un impegno capillare, metodico e il più possibile collettivo, capace di smuovere le coscienze così come l’aratro smuove la terra per renderla di nuovo fertile e generatrice di vita”».[4] Affondare le mani nella terra ha significato per Libera, sin da subito, avviare un’operazione di riappropriazione del maltolto, di costruzione di percorsi di riscatto per territori violentati dalla presenza mafiosa. Ricominciare dalla terra ha significato lavoro, dignità, ricchezza. Ogni metro di terra liberato dalle mafie e restituito alla collettività, attraverso un lavoro quotidiano fatto di fatica e coraggio, ha significato avviare processi di rigenerazione su più livelli: culturale, simbolico, etico, economico. E così oggi, ai numeri di ecomafie e agromafie, possiamo contrapporre quelli, altrettanto significativi, delle centinaia di esperienze di riutilizzo sociale di terreni confiscati ai clan. Secondo OpenRegio,[5] il portale aperto di dati che, anche grazie alle sollecitazioni giunte dalla società civile, dalla primavera del 2017 l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (ANBSC) utilizza per rendere pubblici i dati in suo possesso, su un totale di oltre 15 mila particelle catastali destinate (confiscate cioè in via definitiva e trasferite ad altre Amministrazioni dello Stato per finalità istituzionali o agli Enti locali per finalità sociali) relative a beni immobili, quasi 4000 sono terreni agricoli, quasi tutti trasferiti ai Comuni. A questi ultimi è affidata la responsabilità del riutilizzo sociale, attraverso l’assegnazione a realtà sociali in grado di trasformare i segni del potere criminale in luoghi di rinascita e di rigenerazione. Libera porta avanti da qualche anno un lavoro di mappatura e censimento di questi soggetti sociali che, dal nord al sud del Paese, ogni giorno si impegnano nei progetti e nei percorsi di riutilizzo. I dati raccolti parlano di oltre 800 realtà. Circa 200 di esse sono, appunto, cooperative sociali o consorzi di cooperative che hanno nella propria mission la gestione di terreni agricoli, con l’obiettivo di condurre una produzione fondata sui principi di sostenibilità e rispetto della terra e del lavoro, con una fondamentale attenzione all’agricoltura biologica. Sono realtà che, in piena autonomia gestionale e amministrativa, generano percorsi produttivi in grado di offrire lavoro e cibo di qualità. Il progetto Libera Terra nasce esattamente con questo obiettivo, attraverso un marchio di qualità da assegnare a cooperative nate con bando pubblico per gestire i terreni sottratti alle mafie, soggetti dell’imprenditoria sociale credibili e autosostenibili, in grado di puntare sulla qualità e l’eccellenza dei prodotti, dei processi, delle relazioni, delle gestioni, attraverso il coinvolgimento lavorativo di persone che provengono da esperienze di marginalità ed esclusione. A oggi, le cooperative a marchio Libera Terra sono nove (la prima nata nel 2000), riunite nel Consorzio Libera Terra Mediterraneo. Gestiscono e coltivano 1494 ettari di terra confiscata ai clan in 39 comuni di Sicilia, Calabria, Puglia e Campania, dando lavoro a circa 200 persone, senza contare tutte le altre opportunità lavorative legate all’indotto. 90 sono i prodotti frutto di questo lavoro, espressione dei territori in cui le cooperative operano. Prodotti buoni e giusti — come buono e giusto è il lavoro da cui nascono — che, nel 2017, hanno fatto registrare un fatturato di oltre 7 milioni di euro. E poi c’è tutto un mondo di piccole realtà cooperative e associative che, da sole o insieme, si danno da fare ogni giorno per ricostruire un rapporto positivo con la Madre Terra attraverso il riutilizzo dei terreni confiscati. Storie straordinarie di riscatto e dignità che vanno conosciute, sostenute e valorizzate, perché «pur con tutte le difficoltà, gli ostacoli e le battute di arresto -— dovute non solo a intimidazioni e sabotaggi mafiosi, ma a eccessi di burocrazia e inceppi nel funzionamento della legge e nell’assegnazione dei beni — queste esperienze sono la prova che esiste una legalità né astratta né formale né tantomeno strumentale, ma scaturita dall’inquietudine delle coscienze e dal desiderio di essere, a seconda di ruoli e competenze, cittadini artefici del bene comune, indisponibili agli egoismi, ai compromessi e alle forme di corruzione che aprono le porte al crimine organizzato». Si è fatto e si continua a fare, a partire proprio dalla terra. Perché, in definitiva, restituire dignità alla terra significa restituirla all’umanità che la abita.

NOTE

[1] Don Luigi Ciotti: Terre libere. L’uso sociale dei terreni confiscati alle mafie per un’agricoltura sociale e di qualità (prefazione) — 2015. Pubblicazione a cura di Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie nell’ambito del progetto Terre libere finanziato dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali.

[2] Legambiente (a cura di): Ecomafia 2018. Le storie e i numeri della criminalità ambientale in Italia — 2018.

[3] Coldiretti, Eurispes, Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare (a cura di): Agromafie. 6° rapporto sui crimini agroalimentari — 2018

[4] Don Luigi Ciotti: Ibidem

[5] www.openregio.anbsc.it

SITOGRAFIA

anbsc.it

coldiretti.it

legambiente.it

libera.it

openregio.anbsc.it 

osservatorioagromafie.it

per citare questo articolo

Riccardo Christian Falcone:

Libera,

n. 17 - Madre terra,

ISSN 2611-0210 Orione Cartaceo; ISSN 2611-2833 Orione online in formato accessibile

In questo numero

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