il territorio nazionale, a godere della bellezza dei luoghi scarni, essenziali, dimenticati dal turismo di massa. L’Appennino e i suoi paesi, se curati e guardati con intelligenza, possono diventare testimoni di uno sviluppo “altro”, in armonia con le persone, gli animali e i luoghi — e non contro di essi.
Cosa produce la poesia nei luoghi in cui la porti? Ci sono state azioni accadute nelle comunità, dopo che tu le hai visitate, che ti hanno suscitato meraviglia?
Nell’immediato direi che si produce sempre una certa letizia anche perché sempre accompagno la poesia facendo cantare le persone. Poi credo ci siano reazioni a lento rilascio, in un posto aprono un negozio, in un altro si forma un’associazione. Ma forse la meraviglia più grande è il fatto che molte persone sole mi hanno detto di trovare compagnia nei miei versi.
Un pellegrinaggio nell’osso dell’Italia è l’unica cura per poter ristabilire la sacralità della relazione tra l’uomo e la madre terra o ci sono strade alternative?
Credo che ci sono molte strade. È vero, a me preme cercare ancora qualche traccia di sacro, non so se sono in grado di ristabilirlo dove si è perduto, mi pare impresa difficile. Comunque solo nell’osso e solo a tratti si trova ancora questa relazione con la madre terra, con l’arcaico.
Il richiamo a concedersi una vacanza intorno a un filo d’erba mette insieme molte persone. Questo richiamo ha una forza, funziona. Basta pensare al festival di Aliano, alla casa della paesologia. Come mantenere viva quest’energia perché trasformi il rapporto dell’uomo con la terra?
Sono contento che il mio lavoro abbia tante risonanze, ma penso che comunque è ancora pochissimo rispetto alla gravità della situazione. Il rapporto dell’uomo con la terra è ancora improntato alla dimensione del profitto più che della convivialità.
La tua poesia muove dalla geografia irpina. Ipotizziamo per un momento una migrazione al contrario: non più dall’interno alle città ma viceversa. Come nutriresti il tuo pensiero in questo scenario?
In effetti la vita cittadina mi è ignara. Nelle città sono sempre un passante, uno che arriva da fuori e subito riparte. Non riesco a immaginare che effetto mi potrebbero fare i paesi se vivessi in città. Forse userei i paesi per fare bagni di silenzio e di luce e e di solitudine. Dopo un poco la dimensione sociale mi stanca, ho bisogno di una vita introversa che forse in un paese ha il suo ambiente migliore. Ovviamente se pensiamo a paesi molti piccoli e quasi vuoti, lì ancora si avverte la differenza con la dimensione cittadina. Nei paesi più grandi le differenze sono molto attenuate.
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L’entroterra degli occhi
Pensa che si muore
e che prima di morire tutti hanno diritto
a un attimo di bene.
Ascolta con clemenza.
Guarda con ammirazione le volpi,
le poiane, il vento, il grano.
Impara a chinarti su un mendicante,
coltiva il tuo rigore e lotta
fino a rimanere senza fiato.
Non limitarti a galleggiare,
scendi verso il fondo
anche a rischio di annegare.
Sorridi di questa umanità
che si aggroviglia su se stessa.
Cedi la strada agli alberi.
Poeta con famiglia
Ti proteggerò amore mio,
sarò dolcissimo con te e con gli alberi,
ci sarà una diffusa devozione per te
nella nostra casa,
mi alzerò ogni mattina
per sistemare l’alba
prima che ti svegli,
ti raccomanderò
alle piante, ai bicchieri.