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Dettaglio Copertina Orione n. 21 - Condivisione - 8

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Lo sharing: quale valore per il singolo e le comunità?

1 Dicembre 2020
Negli attuali contesti storici lo sharing, il condividere, indica una relazione intenzionale di apertura all’Altro. Ha un valore inestimabile perché sottende a una volontà delle persone coinvolte di fare insieme, di arrivare ad un obiettivo comune, creando nel contempo, inconsapevolmente, legame sociale e sostegno alla coesione sociale. Alla base dello sharing moderno c’è una scelta, che si distingue dalla condivisione di spazi e risorse che ha caratterizzato la vita sociale degli uomini prima della Rivoluzione industriale.
Dettaglio Copertina Orione n. 21 - Condivisione - 8

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Lo sharing: quale valore per il singolo e le comunità?

1 Dicembre 2020
Negli attuali contesti storici lo sharing, il condividere, indica una relazione intenzionale di apertura all’Altro. Ha un valore inestimabile perché sottende a una volontà delle persone coinvolte di fare insieme, di arrivare ad un obiettivo comune, creando nel contempo, inconsapevolmente, legame sociale e sostegno alla coesione sociale. Alla base dello sharing moderno c’è una scelta, che si distingue dalla condivisione di spazi e risorse che ha caratterizzato la vita sociale degli uomini prima della Rivoluzione industriale.

DEFINIAMO IL CONTESTO

In quei contesti non vi era una scelta ma si nasceva all’interno di gruppi familiari vasti, in cui la condivisione era parte integrante dell’organizzazione di vita. Il cambiamento si è avuto con i processi di industrializzazione che hanno spostato persone dalle campagne alle città, staccandoli dalle loro reti di condivisione tradizionali. Sicuramente in quel periodo storico sono state create nuove socialità, spesso forzate, con persone con cui non si avevano legami di parentela o di tradizioni socioculturali. Quella separazione dai contesti sociali però ha creato i presupposti per i processi di individualizzazione, che sono stati poi accelerati, soprattutto in alcune aree del mondo, negli ultimi decenni, dal benessere economico. Un benessere economico non goduto da tutti, a fronte di una complessità sociale crescente. Si pensi alle attuali necessità di un bambino o di un adolescente e alle pressioni anche economiche sulle famiglie. Quindi, da una parte, ci sono le aspettative di benessere crescente vissute a livello collettivo e, dall’altra, la necessità di cercare nuove soluzioni, a livello individuale, per poter usufruire di beni e servizi, in base alle condizioni socioeconomiche date. Lo sharing, così come lo conosciamo oggi, risponde sì ad un’esigenza dell’uomo nella postmodernità di trovare soluzioni per ridurre i costi di gestione della quotidianità e/o migliorare la qualità della vita (si pensi ai gruppi di acquisto di prodotti biologici controllabili) ma, sul piano sociale, ripropone la centralità delle relazioni, del fare insieme, rispetto all’individualità, a cospetto anche delle innumerevoli pressioni sociali e socioeconomiche. Stiamo assistendo ad una sorta di resilienza rispetto alle pressioni sociali e alla complessità sistemica, che richiede nuove risposte che non possono essere individuate dal singolo. Per aumentare il potere di contrattazione, rispetto al mercato, e di risultato, rispetto alle risorse a disposizione, vanno assunti impegni collettivi tra soggetti che scelgono in uno o più settori di agire insieme, per realizzare degli obiettivi comuni. Proviamo a fare un’ulteriore riflessione, tenendo insieme natura e cultura. L’uomo è un essere sociale, vive di relazioni ed è relazione,[1] in quanto prodotto di relazioni. Ciò che lo circonda, al di là degli specifici contesti sociali, è il prodotto di relazioni dell’uomo con l’ambiente naturale, dell’uomo con gli altri uomini, dell’uomo con gli altri esseri viventi. La stessa evoluzione dell’uomo è stato il prodotto di continui processi di adattamento e “costruzioni”, possibili solo attraverso relazioni. Si comprende bene, il punto di partenza: siamo il prodotto di relazioni e viviamo solo perché impariamo a stare in relazione con tutto ciò che ci circonda.

RELAZIONE, PARTECIPAZIONE, INCLUSIONE

Si può entrare in relazione con gli altri in modi diversi, principalmente con modalità cooperative[2] o conflittuali. Lo sharing, in quanto modalità di relazione cooperativa, indica una scelta costruttiva: considerare l’altro come amico, alleato, risorsa, nel raggiungimento di uno scopo comune. Essa può avvenire se c’è stata una socializzazione ad una apertura all’Altro o se, razionalmente, se n’è compreso il valore e il vantaggio. Ma serve un atto di fiducia. Condividere richiede un fidarsi dell’altro, spesso non conosciuto. Nelle differenti forme di società del passato, la condivisione è stata alla base della vita in comune. La privacy, prodotto della postmodernità, ha separato le persone, creando una distanza sociale. Negli ultimi anni si è compreso il valore della cooperazione, che richiede necessariamente una relazione con l’altro, un uscire da sé, alla ricerca di un vantaggio comune. Lo sharing può rendere più vantaggiosa la proprietà di un bene e l’organizzazione di un servizio, ma può anche rendere usufruibile un bene o un servizio a cui non si potrebbe accedere se non attraverso qualcun altro, che ne ha la proprietà. Si pensi all’uso di un’automobile. Si può possedere un’auto ma decidere di condividerne l’utilizzo con altri, per ridurre le spese, ma si potrebbe non averne una, per motivi economici, e partecipare a dei processi di sharing, così da poter usufruire del suo utilizzo. Lo sharing crea le condizioni di partecipazione a beni e servizi, di cui alcune persone non potrebbero fruire, e quindi esserne escluse. Esistono sicuramente molte forme di sharing, ma ciò che va sottolineato in un’analisi sociologica è il valore dei processi di inclusione. Lo sharing crea opportunità di partecipazione, oltre che generare vantaggi anche sul piano monetario. Inoltre, amplifica le possibilità del singolo di godere di beni e servizi. I processi di condivisione si sostanziano quindi di attività di partecipazione. Si tratta di un aprirsi agli altri in modo fiduciario per strutturare opportunità di collaborazione. Tale processo genera altro rispetto alle possibilità del passato ed è, quindi, generativo e innovativo.[3] C’è però il rischio che il valore sia solo economico e non sociale. Lo sharing potrebbe essere caratterizzato da un atteggiamento di utilizzo strumentale di un bene o di un servizio e perdere in tal modo la valenza etica dei processi di condivisione. Resterebbe però il vantaggio e l’opportunità che viene offerta alle persone di partecipazione e di inclusione all’interno di percorsi da cui sarebbero potuti essere esclusi senza l’attivazione di una rete. Mentre, per assumere valore sociale atto a produrre coesione sociale, dovrebbero tendere alla costruzione di legami sociali significativi.[4] Bisogna ragionare sui singoli casi, sperando che da rapporti anche formali di utilizzo di beni e servizi possa nascere l’opportunità di creare socialità significativa: rapporti di amicizia, di sostegno, di reciprocità, di solidarietà, di mutualità.

VERSO NUOVE COMUNITÀ

Lo sharing può generare nuove comunità in cui lo spazio e il tempo vengono definiti in base all’utilità sociale e i mezzi tecnologici amplificano le possibilità del singolo di entrare in relazione con altre persone.[5] I processi di differenziazione tipici della modernità — ci spiega Simmel — hanno determinato una distinzione tra sé e gli altri. Quello che si vive oggi, negli attuali contesti è una nuova socialità, un andare verso l’altro, gli altri, che possono diventare risorse e alleati. E come se ad un tratto si fosse riproposta nella sfera pubblica la necessità di pensare al proprio benessere attraverso scelte collettive. Le pratiche di sharing, partendo da un profilo basso di condivisione per fini utilitaristici ha riproposto un dibattito nella sfera pubblica dei processi di cooperazione in cui si minimizzano i costi se si è insieme. È un contrapporsi ad un mercato che ha cercato di massimizzare il proprio profitto, in molti casi incurante della parte umana dei consumatori. Lo sharing è stata una risposta, un autorganizzarsi, un cercare soluzioni collettive per esigenze che si è imparato a vedere come sociali, non come individuali. Un attivare processi solidaristici anche per scelte più pragmatiche ed economiche. Un passo avanti che tiene insieme la società civile con il mercato, in cui il primo si riprende il suo ruolo di decisore di strategie funzionali al suo benessere. I processi di sharing possono essere definiti come una delle pratiche di innovazione sociale.[6] Quando si parla di Innovazione sociale si specifica che essa può essere definita tale solo quando genera nuove opportunità per una parte della popolazione su cui il processo innovativo aveva l’obiettivo di impattare. Sicuramente le attività di sharing vogliono generare nuove opportunità e le esperienze già in atto forniscono dati incoraggianti. Il dato ora su cui battere è rendere consapevoli le persone che partecipano a tali processi anche del fine etico che le loro relazioni possono assumere per le nuove comunità, che potremmo definire glocali. Se i nuovi processi di sharing verranno prodotti da persone che hanno acquisito categorie sociali quali l’innovazione sociale, la sostenibilità, la responsabilità collettiva nella consapevolezza del loro valore per la collettività, sarà possibile che lo sharing, quale strumento di riduzione dei costi e di ampliamento delle possibilità di godere di beni e servizi, attraverso la relazione con altri, possa diventare anche uno strumento di inclusione sociale, sempre meglio praticato. In questi casi, i mezzi tecnologici, che sembravano essere qualcosa di distante dall’uomo, possono invece unire e consentire quella condivisione di emozioni, di attività, di progetti, di cambiamenti possibili. L’importante è che gli strumenti, compresi quelli tecnologici, vadano a vantaggio del singolo quanto della rete in cui è inserito. E soprattutto li si sappia usare con consapevolezza.

NOTE

[1] Per approfondimenti si veda i molti testi pubblicati da Donati P. sui temi della sociologia relazionale, i beni relazionali, la sociologia della riflessività.

[2] Si consiglia la lettura del testo di Vittorio Cotesta: Fiducia, cooperazione, solidarietà. Strategie per il cambiamento sociale — Liguori — 1998

[3] Per approfondimenti si consiglia Laura Bovone e Carla Lunghi: Italia creativa. Condivisione, sostenibilità, innovazione — Donzelli — 2020

[4] Potrebbe risultare interessante approfondire il tema attraverso il testo di Massimo Pendenza: Teorie del capitale sociale — Rubbettino editore — 2008

[5] Si consiglia la lettura di Mauro G. Giacomarra: Sharing sociology. Il ruolo della comunicazione nella sociologia della condivisione — G.B. Palumbo & C. Editore — 2017

[6] Per approfondire il concetto e conoscere i progetti definiti come innovativi a livello internazionale si consiglia il testo di Robin Murray, Julie Caulier Grice, Geoff Mulgan: Libro bianco sull’innovazione sociale (open book) — 2008

per citare questo articolo

Rossella Trapanese:

Lo sharing: quale valore per il singolo e le comunità?,

n. 21 - Condivisione,

ISSN 2611-0210 Orione Cartaceo; ISSN 2611-2833 Orione online in formato accessibile

In questo numero

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Paul Watzlawick nel suo prezioso Pragmatica della comunicazione umana teorizza, forse per la prima volta con una metodologia scientifica, una serie di assiomi che descrivono proprietà tipiche della comunicazione aventi importanti implicazioni relazionali. L’assunto iniziale è che comunque ci si sforzi, non si può non comunicare, implicando livelli comunicativi non solo di contenuto ma anche di relazione.