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Periferie - Orione - Fondazione Sinapsi

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Riabilitazione su Base Comunitaria

3 Agosto 2020
Mi sembrarono parole di un incantesimo, quando le ascoltai la prima volta: sapevo cosa volevo fare quando mi sarei laureato. Sono un fisioterapista, e la Riabilitazione su Base Comunitaria (RBC) è la fisioterapia fatta nei paesi a basso reddito — tecnicamente, una strategia per migliorare la qualità di vita e l’inclusione sociale delle persone con disabilità [1] — realizzabile perché implica un uso razionale delle risorse locali, umane e materiali.
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Riabilitazione su Base Comunitaria

3 Agosto 2020
Mi sembrarono parole di un incantesimo, quando le ascoltai la prima volta: sapevo cosa volevo fare quando mi sarei laureato. Sono un fisioterapista, e la Riabilitazione su Base Comunitaria (RBC) è la fisioterapia fatta nei paesi a basso reddito — tecnicamente, una strategia per migliorare la qualità di vita e l’inclusione sociale delle persone con disabilità [1] — realizzabile perché implica un uso razionale delle risorse locali, umane e materiali.

C’è un libro stupendo, la Bibbia della RBC, s’intitola I bambini disabili del villaggio. [2] Quando pensavo ai bambini con disabilità nei paesi a basso reddito, pensavo ai villaggi con le capanne in Africa. Appena laureato sono partito, in uno di questi villaggi modello, in Kenia e poi in Ecuador, dove con OVCI, la mia ONG, ho fatto quella RBC che avevo tanto sognato: visitavo i bambini con disabilità, camminando nella foresta da una casa di legno all’altra. Un anno dopo ripartii, sempre con OVCI, stavolta per il Marocco. Quando scoprii che qui la RBC veniva fatta in una città di 50 mila persone, rimasi turbato. «Queste persone vivono in case normali — pensai — hanno la scuola a 200 metri da casa, gli ospedali, ci sono campi da basket, autobus regolari. Non sono loro che hanno bisogno. Dobbiamo andare ad aiutare i bambini poveri delle campagna! I bambini disabili del villaggio è stato scritto nel 1987. Nel mondo la popolazione rurale era di quasi 3 miliardi di persone, quella urbana poco più di 2. A oggi la prima è cresciuta di 500 milioni di persone. La seconda è più che raddoppiata. Nel 2050 due persone su tre vivranno in zone urbane [3]. È prevedibile che la maggior parte si stabiliranno in quartieri popolari. Qui in Marocco, anche la maggior parte dei bambini disabili del villaggio si trova ora nelle periferie delle grandi città. Spesso le famiglie si trasferiscono dalla campagna proprio per avere aiuti per il loro bambino, lasciando ogni cosa, sperando che in città troveranno la cura alla loro sofferenza. Ain El Aouda (la città di 50 mila abitanti in cui lavoriamo) si trova a 30 km da Rabat, la capitale del Marocco, a cui è collegata da una strada regionale. Quando si entra nella capitale diventa a 6 corsie e, oltre un regale viale alberato, si intravedono, tra i cancelli sorvegliati, le ville dell’aristocrazia marocchina, il palazzo del re, l’ambasciata degli Stati Uniti, il golf club. Ain El Aouda è una città satellite, come moltissime altre in Marocco. È nata dal nulla, con una crescita esponenziale vertiginosa. I palazzoni tutti uguali si schierano su anonime strade perpendicolari. Le famiglie dei miei amici non sono originari di qui. Vengono dalle campagne, o dalle montagne. Sono venuti qui per cercare lavoro, chi 20, chi 30 anni, chi 40 anni fa. La famiglia di Ibrahim viene dal deserto. È una famiglia di origine berbera, suo nonno non parla nemmeno arabo. Ibrahim, invece, il berbero non lo sa. Parla discretamente bene il francese e guarda film americani per imparare l’inglese. Gli piace andare in centro città; è lì che vorrebbe abitare, ma il prezzo degli affitti è più alto del suo stipendio. A volte in centro ci va. Prende l’autobus. Ci sono salito anch’io un po’ di volte. Quando si passa a fianco alle ville, mi ricorda il vagoncino di una montagna russa di Disneyland. Si attraversa un mondo magico e nessuno scende. Con Ibrahim parlo volentieri. Sono rimasto stupito quando una volta si è arrabbiato quando gli ho detto: «Sei fortunato rispetto a molti altri, perché non apprezzi tutto quello che hai?» «Tu non sei nato qui, non puoi capire», mi ha risposto. Attraverso il mio lavoro, ho incontrato delle situazioni che mi hanno fatto riflettere su questa frustrazione, che accomuna Ibrahim a molti altri amici che vivono in periferia. Kamal è un nostro beneficiario, un ragazzo di 17 anni con ritardo mentale, vive a Imi M’Korn, un piccolo villaggio nelle aride montagne del sud del Marocco. L’anno prossimo i genitori devono decidere se iscriverlo a una scuola di pasticceria per ragazzi con disabilità. Dovrebbe andare in città tutti i giorni e a lui non piace. Da un po’ di anni tutti i weekend porta lui al pascolo tra le montagne le pecore della famiglia. Quando torna a casa, il pomeriggio, va a fare il portiere nelle partite di calcio con i suoi amici.

Per Kamal, che in campagna ha meno possibilità e meno aiuti, sarà più facile trovare la sua strada: ha una bella vita sociale e se farà il pastore erediterà il lavoro di suo nonno. Nei quartieri popolari sarebbe stato più difficile, perché avvicinarsi alla città dà e toglie. Zakaria ha 4 anni, ha una paralisi cerebrale e fatica a muoversi, non sa ancora camminare. Ha una carrozzina di seconda mano, gliel’ha regalata la zia che vive in Spagna. Fa fisioterapia 3 volte a settimana all’ospedale pubblico e un’associazione gli passa i farmaci anti-epilettici. La mamma piange. Vorrebbe il meglio per suo figlio. Ha visto in foto la carrozzina che servirebbe a suo figlio. Lo vorrebbe portare a fare riabilitazione tutti i giorni in una clinica privata a Tangeri di cui le hanno parlato, e comprargli farmaci europei più efficaci. «Ma non ho soldi, e qui nessuno mi aiuta». La sua visione, penso, non valorizza l’incredibile fortuna che ha nel ricevere tanta assistenza. Ma resta che il suo dolore è indubitabile e reale. Vive in un quartiere popolare di Tangeri, a un km dalla stazione del TGV, su cui giganteggiano grattacieli Hilton e IBIS. Se si voltasse, al passato, alla campagna, vedrebbe suo figlio a terra, senza carrozzina, senza diagnosi, senza farmaci. Ma davanti agli occhi ha il centro, il progresso, la medicina del futuro, e si sente intrappolata, sfortunatamente indietro, sognando l’illusione che vede davanti.

«Come devono nascere e svilupparsi nelle più umili condizioni, le prime irrequietudini pel benessere; e quale perturbazione debba arrecare in una famigliola vissuta fino allora relativamente felice, la vaga bramosia dell’ignoto, l’accorgersi che non si sta bene, o che si potrebbe star meglio» scrisse Verga nel 1881, o forse ieri, da una periferia del Marocco. Rimane un’ultima, potente, forza in gioco: la televisione prima. Internet ora. In Marocco sono state come delle inondazioni improvvise, che hanno accelerato esponenzialmente la velocità della corrente che scende dalla periferia alla città. Quando guardi una serie tv in cui delle donne turche vivono una vita da sogno, non fa differenza che tu sia in una bidonville di Casablanca o in un villaggio berbero tra le montagne. In quel momento tutto è periferia attorno al centro del mondo che sta dentro quegli schermi, dove ogni cosa è bella. Su Instagram, uno dei cantanti più famosi al mondo riprende in diretta la sua giornata, ospite in una villa di una miliardaria marocchina. Ibrahim si collega, non è un film, non è un documentario, è la realtà, senza filtri. Forse è proprio in una di quelle ville che vede quando passa in autobus. Le sbarre di ferro del vagoncino si sono alzate. Molti cadranno nel vuoto piuttosto che aspettare la fine della corsa, in periferia. Pochi, di sicuro, resteranno ancora al loro posto.

NOTE

per citare questo articolo

Simone Zanatta:

Riabilitazione su Base Comunitaria,

n. 20 - Periferie,

ISSN 2611-0210 Orione Cartaceo; ISSN 2611-2833 Orione online in formato accessibile

In questo numero

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Sin dagli anni del dopoguerra, le narrazioni di Rossellini, Visconti, De Sica, Germi e altri autori del neorealismo, non ultimi Fellini e Pasolini, documentando la realtà, hanno contribuito a costruire l’immaginario delle periferie che ha assunto un aspetto peculiare.

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Intervista a Carlo Ratti. Il suo nome compare tra i Names You Need to Know di Forbes e i Best & Brightest dell’Esquire. È nella lista delle 50 persone che cambieranno il mondo secondo Wired e tra i 50 designer più influenti in America secondo Fast Company, oltre a essere anche tra i 60 innovators shaping our creative future per Thames & Hudson.

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Qualche anno fa, muovendomi in un’antica biblioteca lagobiondese, entrai nella Sala dei manoscritti e lì capitò tra le mie mani il diario di bordo di Padre Scorza, un missionario lucano vissuto presso un’antica tribù africana. Niente riuscii a sapere della sua vita mentre, in calce ad alcune pagine, lui stesso aveva annotato aspetti di quella tribù che mi avevano particolarmente colpito.