Viviamo un tempo nel quale spesso siamo condizionati dal benessere e talvolta, senza che ce ne accorgiamo, subiamo dei danni e li procuriamo, peggio ancora, a chi è incapace di difendersi. Quando ciò accade, ecco che si crea l’effimero mito del supereroe: tutti dobbiamo essere belli, forti, possedere tanto, avere tutto — di più e meglio di chi ci è accanto, a ogni prezzo. Si è spesso convinti che per affermarsi bisogna essere: persone che non soffrono, che non possono essere tristi, non possono essere insicure, che non possono neanche piangere. Ed ecco che scaturiscono bullismo, sopraffazione prevaricazione, episodi che sfociano in un’unica matrice: violenze, di genere diverso. Per essere belle, le ragazze si sottopongono a interventi estremi, senza valutare i rischi cui vanno incontro, i ragazzi diventano sempre più dipendenti da videogiochi, alcool e droghe. Perché — fortunatamente non sempre — accade questo? Perché c’è la paura di essere normali, persone con i propri limiti, le proprie debolezze, sofferenze e insuccessi e di conseguenza non si accetta il confronto. Nel nostro avanzatissimo mondo bisognerebbe, a mio parere, ricercare con umiltà quel filo che ci lega e che ci rende tutti normali, capaci di essere semplicemente se stessi. Così saremmo, forse, talvolta un po’ incerti, capaci di dare ai giovani solide basi per il proprio equilibrio.
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Mi viene in mente il mio odiato professore del liceo — pace all’anima sua — e tutte le ore trascorse in quel corridoio pieno di spifferi per sottrarmi alla sua nauseante presenza.